Teoria e pratica della traduzione

articolo pubblicato il 12 ottobre 2009 alle ore 13:00

La malinconia del traduttore

Alle VII Giornate della traduzione letteraria di Urbino sono rimasta piacevolmente colpita dall’intervento di Franco Nasi, saggista, traduttore ed insegnante di letteratura italiana contemporanea all’Università di Modena e Reggio Emilia.
Nel corso di una tavola rotonda, Franco Nasi ci ha dato un assaggio del suo libro La malinconia del traduttore, uscito nel 2008 e pubblicato dalle edizioni Medusa.

Ecco uno dei passaggi che l’autore ha letto ad alta voce per il folto pubblico del convegno.

“Ieri sera verso le otto sono andato da Dino’s, l’altro supermercato vicino a casa, per comprare del latte. Nei quattrocento metri che ho fatto a piedi ho visto prima un gruppo di ragazzi scendere da una vettura ed entrare in una casa dopo aver estratto dal portapacchi dell’auto uno scatolone di lattine di birra Miller. Poi, pochi metri più avanti, ho incontrato tre uomini e una donna, con in mano una confezione da otto birre in bottiglia a testa. Chiacchieravano ed erano allegri. E non erano neppure giovani. Io con il mio gallone di latte e loro con il loro pacco di bottiglie di birra, accomunati dal freddo e dall’età.

Forse, siccome qui tutti si ubriacano il sabato sera, i legislatori dell’Illinois avranno pensato di imporre per legge una tregua all’assunzione di alcolici la domenica mattina. Un’ipotesi. Per trovare una spiegazione certa ho telefonato a Malcolm, il mio amico americano. Così ho imparato che non si possono comprare alcolici solo la domenica mattina, prima delle undici, perché siamo nella fascia delle blue hours.

- Un’altra espressione con il blu! Ma com’è questa storia? – chiedo a Malcolm, che non capisce. E non può, perché non sa che ho appena finito di leggere un libro di William Gass dal titolo On Being Blue. A philosophical Inquiry, che un mio amico addentro a queste cose mi aveva chiesto di leggere e di capire se era possibile tradurre in italiano. Così l’ho letto un po’ per curiosità e un po’ con la mente che già lavorava alla traduzione, girando però a vuoto. Perché era difficile, e poi perché era tutto giocato sul doppio, triplo, quadruplo senso del colore, e tradurre un libro così in italiano fa venire la malinconia del traduttore, che è una malattia che ti prende d’improvviso, quando, dopo mille tentativi, ti senti invaso da un fortissimo senso di inadeguatezza e di impotenza. È la malattia blu del traduttore che ti fa desiderare che la storia di Babele e la moltiplicazione delle lingue sia solo una leggenda e che tutte quelle lingue che ci sono al mondo non esistano e non siano mai esistite. Allora alla malinconia si accompagna un senso di nostalgia per una lingua primigenia dove i colori con tutti i loro significati sono gli stessi colori per tutti, le piante sono le stesse piante per tutti, e i fiori, i suoni, i cerimoniali e tutto quello che è, è quello che è, per tutti, e che ogni cosa, sensazione, credenza si dice in un modo solo, universale.

Ma la storia della moltiplicazione delle lingue non è un’invenzione, e in inglese blue significa moltissime cose, che in italiano si dicono in altro modo o con molti altri colori. Il blu in inglese si riferisce appunto alla tristezza, alla malinconia. Così ci si sente blue, che vuol dire essere di umor nero. Nere e fosche in italiano sono anche le prospettive quando non c’è molta speranza di riuscire; in inglese invece quel tipo di prospettive sono blue. Il libro del parlamento è il blue book (in italiano è il libro bianco), forse perché dice lealmente la verità sullo stato delle cose: infatti essere true blue significa anche essere del tutto leali.”


Credo che l’interpretazione ad alta voce dell’autore abbia reso il testo ancora più vivo di come appare leggendolo in silenzio. Personalmente, sono rimasta catturata soprattutto dallo stile, fluido e ritmato allo stesso tempo. Inoltre, il tema trattato mi sembrava assolutamente attinente alla mia professione. Così ho acquistato La malinconia del traduttore e l’ho letto nei momenti di pausa. Purtroppo, sono arrivata presto alla fine del libro, perché in tutto sono 105 pagine. Se ci fosse un seguito – se ci fosse, cioè, una nuova raccolta di racconti-saggio di Franco Nasi – la leggerei molto volentieri. Per ora, mi accontento di riflettere sui passaggi che ho sottolineato, cercando di memorizzarli. Perché possiate approfittarne anche voi, riporto qui di seguito quelli che preferisco e di cui ritengo importante divulgare il contenuto.

“Tradurre è tradire. Ed è solo tradendo che si mantiene in vita la voce dell’autore.
[...]
È curioso che alcuni traduttori credano ancora alla fedeltà. Non esiste fedeltà nella traduzione come non esiste fedeltà nella parola. Tutt’al più si trasportano i testi in modo leale, con serietà o baldanza, dichiarando quello che si è voluto fare, per chi si è voluto tradurre, che cosa si è perso e che cosa si è guadagnato, dove e se si sono compensate le perdite inevitabili: ma il tradimento è nelle cose.
[...]
Tradurre è forse uno dei migliori esercizi per penetrare nell’altro. E deve muovere da un atteggiamento di grande umiltà e di ammirazione del testo di partenza.
[...]
E soprattutto c’è un testo di partenza, con il carico culturale che si porta addosso e che il traduttore deve cercare di rispettare e di rimettere in vita, in movimento, in un’altra cultura, in un’altra lingua, in un altro orizzonte di comprensione.
[...]
Ogni volta che ci spostiamo linguisticamente da una cultura a un’altra facciamo delle scelte non irrilevanti. Le strategie traduttive sono molte e ciascuna con diverse sfumature. C’è chi pensa che una traduzione sia tanto più buona quanto più non sembra una traduzione; c’è chi invece pensa che sia necessario lasciare trasparire l’originale, creare con la traduzione una nostalgia per il testo e la cultura di partenza. Il traduttore, si sa, è un servitore di due padroni: l’autore e il lettore; a volte scontenta l’uno, a volte l’altro. Buona norma comunque è che sia leale (non fedele, perché essere fedeli a due padroni contemporaneamente è impossibile), mentre si può essere leali, a patto che si dichiari che cosa si fa.”


Per ringraziare Franco Nasi del suo contributo alla letteratura sulla traduzione, vorrei citare la poesia Keeping Things Whole, di Mark Strand, di cui Nasi parla nel suo libro.

In a field
I am the absence
of field.
This is
always the case.
Whenever I am
I am what is missing.

When I walk
I part the air
and always
the air moves in
to fill the spaces
where my body’s been.

We all have reasons
for moving.
I move
to keep things whole.

Ecco la traduzione che Franco Nasi propone per questa poesia, tralasciandone il titolo.

In un campo
sono l’assenza
del campo.

Ed è
sempre così.
Dovunque sono
sono ciò che manca.

Quando cammino
divido l’aria
e l’aria
sempre si sposta
per riempire gli spazi
dov’era il mio corpo.

Tutti abbiamo un motivo
per spostarci.
Io mi sposto
per tenere insieme le cose.